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Il Def dimentica il Sud e la Calabria rischia di vedere allargarsi la sua distanza dal resto del Paese

La manovra economica presentata dal Governo Conte, pur andando incontro a quelle che sono da alcuni anni le richieste del sindacato, della Uil in particolare, pur puntando a forzare la mano con l’Europa rispetto al rapporto deficit/Pil, non può essere considerata una legge di bilancio rivoluzionaria rispetto alle precedenti. L’unico aspetto in parziale controtendenza rispetto al passato che può essere evidenziato, anzi, pare proprio essere lo scontro quasi personale fra il Consiglio del ministri italiano ed i rappresentanti politici ed amministrativi dell’Unione europea.

Il Documento di economia e finanza varato dal Governo “gialloverde”, invece, appare come una manovra in linea di continuità con le precedenti. Rispetto al passato, infatti, manca di una visione capace di costruire una strategia di rilancio organica e complessiva che comprenda lil sistema Paese nella sua interezza; sia perché si fonda sulla logica da Prima Repubblica che per far crescere il Paese basta fare debito pubblico senza, invece, intervenire a rimuovere quelli che sono gli ostacoli che impediscono la crescita di competitività dell’Italia quali, solo per fare qualche esempio: l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’elevata tassazione sul costo del lavoro o la lentezza della giustizia civile.

Per far ripartire l’Italia, per rimettere in marcia l’economia del Mezzogiorno, la manovra economica avrebbe dovuto seguire una linea produttivista, avrebbe dovuto concentrare uno sforzo sull’aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture e sul sostegno agli investimenti privati per far crescere la produttività. Solo questi stimoli, accompagnati da una diminuzione delle tasse sul lavoro e sulle pensioni e dall’avvio di una seria riforma del fisco, da una lotta serrata all’evasione e dall’abbandono della vecchia logica dei condoni, sono in grado di fare crescere l’occupazione e i salari.

Un’attenzione particolare, poi, avrebbe dovuto essere prestata al Meridione d’Italia: un’area che ancora stenta ad uscire dalla crisi ma che, se si riuscisse a far ripartire, potrebbe trainare la rinascita dell’intero Paese.

Per quanto riguarda il Sud, infatti, pare proprio che questa legge di bilancio compia qualche passo indietro rispetto a quel poco che era stato fatto in precedenza con le leggi di bilancio. Manovre economiche senza un profilo elevato ma le cui misure avevano dato spinta all’attività dell’impresa, attraverso norme volte alla decontribuzione del lavoro dipendente a tempo indeterminato, a favorire gli investimenti privati delle imprese ed a individuare per il Mezzogiorno la leva di rilancio della Zes.

Il tema della povertà, poi, deve certamente essere una priorità per il Paese, ma il Reddito di cittadinanza non può essere assolutamente la soluzione per la crisi del Mezzogiorno. Al Sud serve innanzitutto che il Governo compia la scelta strategica di investire sulla portualità concentrando risorse nei porti del Mezzogiorno, in particolare su quello di Gioia Tauro, in termini infrastrutturali, di logistica, di intermodalità e di formazione del personale dipendente. Sull’hub gioiese, la cui centralità nel bacino del Mediterraneo pare sfumare giorno dopo giorno, il Governo deve procedere alla definizione del nono della guida dell’Autorità portuale che rimane aperto da troppo tempo.

Per il Sud solamente la programmazione di un complesso di interventi, su infrastrutture, formazione, ricerca e innovazione ed il rinnovo degli incentivi all’occupazione, potrà essere in grado di risollevare le condizioni economiche del Mezzogiorno, della Calabria in particolare, e creare nuove occupazioni.

Il Governo, poi, deve definire la questione della clausola del 34% degli investimenti in conto capitale alle regioni del Meridione d’Italia, tenendo ben presente il fatto che le risorse europee devono essere considerate addizionali e non sostitutive rispetto a quelle nazionali. Questa condizione, che garantirebbe al Sud Italia di godere di investimenti distribuiti in relazione alla popolazione residente, consentirebbe di far ripartire le opere pubbliche meridionali.

Fra le questioni, poi, che riguardano alla Calabria il Governo nazionale deve definire la propria strategia rispetto all’applicazione concreta di quanto programmato attraverso il Masterplan, deve far applicare quanto previsto dal Patto per la Calabria e, soprattutto, deve agire per chiudere storiche vertenze che interessano il territorio. Il Consiglio dei ministri, ancora, deve procedere al rifinanziamento del fondo per la forestazione ed il Movimento cinque stelle, prima di parlare di Reddito di cittadinanza declinato in lavori socialmente utili, dovrebbe chiudere la vertenza dei 4500 Lsu/Lpu calabresi prevedendo un finanziamento strutturale di circa 50 milioni di euro per favorire la stabilizzazione di questi lavoratori.

Rispetto a queste ultime tematiche sollevate, poi, il governo regionale non può essere sollevato dalle proprie responsabilità. La giunta Oliverio, infatti, non è riuscita a garantire l’accelerazione promesse alle opere pubbliche regionali, soprattutto, in tema di manutenzione del territorio. Le riforme attese sono rimaste ferme al palo.

Rispetto al mondo della forestazione, pur prendendo atto che in questi anni si è messo in campo un intervento efficace sull’organizzazione del lavoro degli operatori del settore, bisogna evidenziare il fatto che la Regione non è riuscita a fare il salto di qualità in termini di riorganizzazione degli investimenti sulla forestazione e di miglioramento delle capacità produttive delle risorse professionali esistenti sul territorio. In questa terra, ancora oggi, non si è presa contezza del fatto che la montagna, se curata con un’attenta opera di manutenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, può rappresentare un volano di sviluppo importante per la Calabria.

Alla deputazione parlamentare calabrese, in particolare a quella che ha lo stesso colore politico del Governo, al governo regionale ed alla Calabria impegnata, infine, chiediamo di aprire un dibattito propositivo finalizzato a risolvere i problemi del territorio. Questa è una lotta politica che deve appartenere a tutti, perché in un periodo di ristrettezze economiche bisogna creare una rete propositiva, è necessario ricercare l’unità di intenti, per ricucire lo strappo economico, sociale e culturale che allontana questa terra dal resto della Penisola.