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Un fronte coeso contro la 'ndrangheta. Da Reggio Calabria parte l'appello alle istituzioni di Pino Zito

Il nostro sentito ringraziamento va a tutti i presenti nella consapevolezza che ciascuna delle parti che noi qui oggi rappresentiamo deve svolgere un ruolo attivo di contrasto per affrontare e sconfiggere, tutti insieme, il grave cancro che affligge il nostro territorio.

Siamo convinti infatti che è finito il tempo dei convegni e dell’antimafia di facciata o, come la definiva tanti anni fa SCIASCIA, dell’antimafia di professione; un tipo di antimafia che fin troppi danni ha creato al vero contrasto che bisogna opporre alle mafie. Del resto, tutto ciò è già stato evidenziato dalla Commissione Nazionale Antimafia.

Ed il nostro non vuole essere, appunto, il solito convegno vuole al contrario rappresentare una testimonianza ed una ripartenza.

Testimonianza perché ognuno di noi, da oggi, ci deve mettere la faccia e non delegare ad altri l’impegno quotidiano a combattere il malaffare; ripartenza perché più volte UIL/CGIL e CISL di Reggio Calabria hanno sollecitato un fronte comune contro la ndrangheta.

Oggi però in più vi è la consapevolezza che la presa di coscienza dei singoli e della collettività da non è più procrastinabile pena il disfacimento totale del tessuto economico e sociale della nostra terra.

Ed infatti CGIL/CISL/UIL hanno pensato a questo appuntamento ben prima che l’escalation di episodi intimidatori si snocciolasse con cadenza quotidiana.

Lo abbiamo pensato prima perché abbiamo chiara la percezione  che l’illegalità diffusa sul nostro  territorio, oltre ad essere figlia della presenza della ‘ndrangheta, – organizzazione quanto mai pervasiva e corruttrice – è anche un grave malcostume della società che viviamo.

Infatti la legalità, a nostro avviso, non è solo stigmatizzare e prendere le distanze dai singoli episodi criminali di cui la ndrangheta è autrice.

La legalità, per le persone perbene, è anche non mutuare atteggiamenti e comportamenti tipici degli ‘ndranghetisti, è non abusare del proprio potere, piccolo o grande che sia, per distorcere o annullare diritti o per ottenere vantaggi personali; legalità è osservare le regole del vivere civile, legalità è rifiutare l’dea di avere quale unico scopo della vita l’arricchimento personale illecito e fine a se stesso.

Ma innanzi tutto, se vogliamo costruire un territorio affrancato dall’asfissia mafiosa, è indispensabile che in modo assolutamente chiaro, senza se e senza ma, ognuno di noi consideri la ‘ndrangheta il nemico numero uno di ciascuna delle parti che oggi qui noi rappresentiamo.

E Poiché siamo altresì consapevoli che non è possibile chiedere a ciascuno di noi di immolarsi come martire o eroe, è indispensabile che la lotta alla ndrangheta non sia patrimonio di pochi e isolati singoli ma diventi patrimonio comune, una scelta di tutti, un fatto sociale; in una parola necessita una rivoluzione culturale.

La presenza  dei ragazzi delle Scuole, quelle del Dirigente Regionale Scolastico nonché degli insegnanti, ci dà la possibilità di richiedere un rafforzamento concreto dell’alternanza scuola - lavoro  affinchè venga realizzata a pieno; chiediamo inoltre una definizione di piani di studio che abbiano al centro la cultura della legalità legata al mondo del lavoro.

Ed a questo proposito ci dichiariamo disponibili a svolgere  un ruolo di informazione – formazione per quelle che sono le nostre competenze.

Che il cambiamento culturale sia indispensabile deriva dall’osservazione della realtà che viviamo.

La disoccupazione, complice anche la crisi, continua a crescere, i giovani abbandonano la Calabria, il disagio sociale aumenta, la povertà attanaglia un numero sempre più alto di famiglie calabresi.

Restare inerti di fronte a questa situazione è da irresponsabili e noi non ce lo possiamo permettere  sia come padri di famiglia che come cittadini.

Ed allora bisogna reagire; bisogna costruire un fronte unitario, coeso, visibile che si colleghi all’azione di contrasto messa in atto, soprattutto negli ultimi anni, dallo Stato; azione che ha portato in galera molti ndranghetisti, che ha prodotto lo sfaldamento del muro di omertà che caratterizzava la ndrangheta, azione che mostra di aver colpito nel segno quando sequestra i patrimoni costruiti illecitamente.

Tutto ciò non avviene  casualmente. E’ frutto  certamente di una legislazione mirata sempre più perfezionabile, ma è soprattutto frutto della qualità delle forze di contrasto messe in campo.

Per questo voglio cogliere l’occasione per ringraziare quanti, rappresentanti delle istituzioni e forze dell’ordine, in questi anni, in questi mesi, hanno con il loro sacrificio, fatto si che si ergesse un argine contro il potere mafioso.

Vi prego di credere che il ringraziamento non è un fatto formale ma è il riconoscimento, da parte di un rappresentante del mondo del lavoro, alla professionalità di un segmento di lavoratori, poliziotti, giudici, personale giudiziario, che con il loro impegno e la loro dedizione ci assicurano quella sicurezza senza  la quale vivremmo ancora peggio e saremmo sopraffatti dalla giungla di interessi illeciti che ci circonda.

Vuole essere, anche, testimonianza del fatto che ogni volta che  CGIL/CISL e UIL hanno chiesto d’incontrare il Prefetto, il Procuratore della Repubblica o il Questore per motivi inerenti a vertenze di lavoro, o altre delicate questioni che attengono alla gestione del ruolo delle OO.SS., hanno sempre trovato la giusta e corretta interlocuzione nel pieno rispetto del ruolo di ciascuno.

Pertanto quando si afferma che lo Stato è assente sul fronte del contrasto alla ndrangheta si dice una cosa falsa.

Sappiamo di poter contare, nel territorio sui migliori professionisti, che si applicano con passione al loro lavoro.

Dobbiamo però rilevare che anche quest’anno, all’apertura dell’anno giudiziario, i magistrati hanno denunciato carenza d’organico non compatibili con la sfida in essere; carenze che riguardano non solo i magistrati ma tutto il personale giudiziario con la conseguenza che il duro lavoro di indagine svolto, spesso in condizioni estremamente difficili, viene vanificato perché non si è in grado di raccoglierne i frutti.

C’è da far capire allo Stato che se Reggio Calabria è davvero la capitale di una delle mafie più pericolose al mondo, con certificati legami con il territorio, non si può prevedere lo stesso numero  di magistrati del distretto giudiziario di Pavia, peraltro non coperto. Questo mal si concilia con le affermazioni roboanti di voler combattere la ndrangheta con tutti i mezzi.

C’è inoltre da far capire allo Stato che necessita una concreta e preventiva azione di rafforzamento delle normative esistenti a partire da una rivisitazione della legge sulle prescrizioni, una più puntuale legislazione sull’utilizzo dei beni confiscati e anche, lo spirito e l’applicazione sul nostro territorio , dalle norme che hanno consentito la realizzazione dell’Expo di Milano.

Solo così sarà possibile recuperare alla collettività quel centinaio di grandi opere pubbliche che in Calabria aspettano da anni di essere portate a compimento. A partire dalle dighe per finire con la realizzazione dell’aerostazione di Reggio Calabria.

Ma questi sono solo alcuni  aspetti del rapporto fra questo territorio ed entità istituzionali sovraordinate.

Addossare però tutte le responsabilità allo Stato centrale, come spesso facciamo noi calabresi, è solo un altro modo per sottrarci alle  nostre responsabilità.

Certo lo Stato storicamente non è esente da responsabilità peraltro gravi; basta pensare emblematicamente  alla SA- RC o al porto di Gioia Tauro – a proposito non so se ce ne siamo accorti ma dopo anni di proclami il primo vero atto positivo verso Gioia Tauro è l’individuazione di quel porto quale autority del sistema portuale del Sud Tirreno. E adesso cosa facciamo? Lustriamo la medaglia e basta? – ma certo le responsabilità  non sono solo statali.

Ne volete un esempio aggiornato? La vicenda città metropolitana è li  a dimostrazione di tutte le nostre incapacità.

Ci è capitato fra capo e collo un positivissimo  accidente storico – qualcuno lo vuole giudicare come un risarcimento alla città ed alla sua provincia per le disattenzioni storiche del passato – e noi lo viviamo o come un atto dovuto o come una cosa di  ordinaria amministrazione saltando i passaggi istituzionali previsti tant’è che il rischio commissariamento  ad hoc è quasi una certezza vista, l’insipienza con la quale è stata affrontata la questione da parte dei soggetti preposti.

A partire dalla Regione. La Regione Calabria appunto. Focalizzare l’attenzione sulle inefficienze o su singoli episodi di sperpero o malaffare sarebbe cosa lunga e molto faticosa e soprattutto poco edificante.

Basti dire che tutti gli indicatori  ci danno come la regione più povera d’Italia- il reddito pro – capite della locride  è più basso del reddito della Tessaglia la regione più povera della povera Grecia - ; ogni anno Platì contende a Nardodipace il triste record di comune più povero d’ Italia e tutto questo succede mentre noi allegramente restituiamo all’Europa milioni di euro – negli anni miliardi – che non riusciamo a spendere.

Succede da sempre è vero! Come succede da sempre che l’assessore competente  pro – tempore rassicura i calabresi sul buon esito della programmazione; esito sconosciuto visto che restiamo pervicacemente relegati sul fondo delle classifiche.

Ma non voglio continuare sul rapporto Calabria – Europa. Desidero, mutuando dalla relazione della Corte dei Conti della Calabria per l’apertura dell’anno giudiziario, focalizzare la vostra attenzione, sia pure brevemente, solo due argomenti: la sanità ed il lavoro.

Anche  per la sanità  siamo all’ultimo posto sia per la qualità del servizio sia per metodologia di gestione. Ciò nonostante i due maggiori attori, il Governatore e il Commissario ad  acta, litigano.

Sono sicuro che il degente ricoverato in corsia su una barella in un qualunque ospedale calabrese trascorrerebbe le giornate di degenza più sereno  se conoscesse i veri motivi della lite. (perché, viste le condizioni in cui versa la sanità calabrese, se i motivi fossero finalizzati al miglioramento a tutto tondo della sanità calabrese potrebbe felicemente lasciare questa terra sapendo che nella prossima vita la sua degenza sarebbe più confortevole.)

A proposito di sanità nessuno  di venga a raccontare che i calabresi non hanno il coraggio di denunziare perché, almeno a Reggio, esiste  un nostro sindacalista che denuncia sistematicamente e lo fa pubblicamente, sulla stampa.

E’ un mitomane? Non è attendibile? Intanto lui ci mette la faccia e non ci risulta, che abbia ricevuto alcuna denuncia per diffamazione; nonostante  la gravità di quanto denuncia. Qualcosa ha ricevuto è vero! Era una lettera di minacce accompagnata da due cartucce di fucile.

A questo punto colgo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà a tutte le vittime di atti intimidatori che in questi giorni hanno caratterizzato la cronaca locale.

 Per il resto vi prego di leggere la relazione della Corte dei Conti che è non solo esplicativa ma  anche educativa.

Una parte è consultabile sul sito della Corte dei Conti Calabria; un’altra parte è cartacea ma contiamo di riportarla per intero sui siti di CGIL/CISL e UIL di Reggio.

E veniamo al lavoro. Riporto testualmente dalla relazione della corte dei conti:  “Se, nell’attuale congiuntura connotata da un alto tasso di disoccupazione, di cui la Calabria detiene un non invidiabile  primato, appare condivisibile la scelta strategica di indirizzare una cospicua fetta di risorse  in questo settore a detrimento di investimenti direttamente produttivi, per la medesima ragione va sottolineata la gravità dello sperpero delle risorse pubbliche che si attua secondo schemi ricorrenti, quali la mancata attivazione dei corsi di formazione, le assunzioni di soggetti privi dei requisiti di legge, a volte stretti congiunti o seguite da dimissioni forzate e/o licenziamento.

Proprio per questa ragione la Procura Calabria ha ritenuto, e lo farà in questo anno, di dover attribuire priorità al perseguimento di tale tipologia di illecito, anche in funzione preventiva.

Ad altri, tenendo conto della criticità e dei punti di debolezza sistematicamente riscontrati nell’attività investigativa, il compito di ripensare le modalità di erogazione dei benefici pubblici, nel modello procedimentale, nei presupposti, nei controlli auspicabilmente concomitanti non limitati a meri riscontri cartolari”.

Ecco siamo alla certificazione di quanto denunciato da anni dalle OO.SS. .

Di fatto si è gestito in modo scientifico il bisogno di lavoro utilizzandolo a fini clientelari – elettorali, in più alquanto criticabile.

Forse per questo non è possibile ancora avere la cosiddetta anagrafe dei percettori, cosa che permetterebbe di sapere a chi è stato liquidato e cosa è stato liquidato. E ciò nonostante lo preveda la normativa in materia e nonostante la nostra richiesta.

Come sappiamo  la ndrangheta c’è e purtroppo si vede.

Ma, come ebbe ad affermare un famoso superprefetto, in Calabria non tutto è ndrangheta c’è anche il malaffare.

E allora torniamo alle affermazioni iniziali. E’ indispensabile una rivoluzione culturale. E’ necessario passare da una concezione patologicamente egocentrica ad una coscienza collettiva.

Dal presunto benessere individuale al vero benessere collettivo.

E’ necessario che si crei una classe dirigente che rompa con il passato, ma è necessario soprattutto che i cittadini – elettori possano scegliere i loro rappresentanti non sulla base della loro capacità di inciucio ma sulla base delle capacità di governo, dell’onestà, della trasparenza.

Ed a questo ci devono pensare i partiti i quali devono essere giudicati dai cittadini anche sulla base dei candidati che ci propongono.

Non è più tempo di mezze misure.

La misura invece è colma. L’alternativa sarebbe di consegnare la Calabria al malaffare.

Ce lo possiamo permettere? Se lo può permettere lo Stato?

L’unica cosa è reagire. Lo dobbiamo ai calabresi di oggi e, soprattutto, ai calabresi di  domani.